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Carta di credito. Storia di com’è nata, come funziona e come cambierà.

Redazione Tot
Redazione Tot
23 agosto 2022
Carta di credito. Storia di com’è nata, come funziona e come cambierà

Quando sono nate le carte di credito? Forse per rispondere a questa domanda dovremmo prima interrogarci sul perché, in un preciso momento della storia del mondo, sia sorta l'esigenza di scambiare beni e servizi anche in assenza (nell'immediato) del controvalore in denaro.

Un momento nella storia che segna l'accettazione, l'inizio, di un vincolo, umano ed economico, che da lì in avanti costituirà una delle colonne portanti delle banche e, più ampiamente, del mercato finanziario: quel momento in cui la fiducia ha iniziato a contare quanto (e forse più) dei soldi stessi.

Fermi tutti: la fiducia ha un prezzo? No, la fiducia non ha un prezzo, ma un costo, evidentemente, sì. Sulla fiducia nel corso dei secoli si sono costruiti legami amicali e familiari, piccole e grandi società, stati e governi. E non vi è da stupirsi, dunque, se la fiducia da vincolo sia diventata essa stessa fonte e origine di un nuovo punto di incontro tra domanda ed offerta. Un nuovo mercato.

Non è in questo articolo che racconteremo di quali e quante “traduzioni” del concetto di fiducia vi siano oggi nel mondo della finanza e dell'economia: dalle azioni, alle obbligazioni, ai contratti future, per citare soltanto alcuni degli strumenti finanziari più noti.

Era però importante “inquadrare” alcuni (apparentemente) semplici fotogrammi di questa storia millenaria. Sì, davvero millenaria: pensate che le prime tracce di quella che oggi definiremmo una “transazione” basata sul credito affonda le proprie radici nell’antica civiltà della Mesopotamia, dove oltre 5000 anni fa venivano utilizzate delle tavolette di argilla per commerciare con la vicina civiltà di Harappa. Una sorta di cambiale “pagherò” ante litteram.

Oggi, sulla base della fiducia -e, in un mondo sempre più globale, potremmo dire anche dell’affidabilità- un soggetto (creditore) può prestare del denaro ad un altro soggetto (debitore) che, dopo averne goduto per soddisfare i propri bisogni, si impegna ovviamente a restituirlo integralmente con determinate tempistiche, regole e, in alcuni casi, interessi.

I primi esempi di “carte di credito”

È facile immaginare che il credito sia nato prima in negozio e poi in banca, ma in un contesto nel quale comunque le banche erano già divenute determinanti per il funzionamento del mercato.

Siamo alle battute finali del diciannovesimo secolo, molte aziende crescono e diventano industrie, e le banche - comprando grandi quantitativi di azioni di queste in cambio di liquidità - sono in grado di influenzare le scelte economiche delle aziende e, quindi, del mercato. In una parola: nasce il capitalismo finanziario.

Dal grande al piccolo. Anche le aziende, in particolare i negozianti statunitensi, iniziano a fare credito (ovvero, ritardare le richieste di pagamenti) ai loro migliori e più affidabili clienti, utilizzando delle piastre in metallo con dei numeri incisi sopra (vi ricorda niente?). Ogni negozio, però, ha la sua “piastra di credito” e, di conseguenza, i clienti iniziano ad averne troppe da portare con sé: così, intorno al 1920, molti negozianti scelgono di utilizzare il cartoncino anziché il metallo, con le medesime finalità. Verosimilmente è in quel momento, intorno al 1920, che si può iniziare a parlare di “carta di credito”, anche se, più propriamente, potremmo definire queste tessere come un “credito su carta”.

Con la crescita di questo fenomeno, anche banche e società finanziarie iniziarono ad entrare da protagoniste in questo potenziale (e possibilmente profittevole) nuovo mercato.

Ovviamente, come ogni grande innovazione che si rispetti, la prima intuizione arriva quasi per caso. C’è un distinto signore newyorkese, Frank McNamara, che una sera va a cena ma dimentica il portafogli e si trova quindi in grande imbarazzo nel non poter pagare il conto. Quella sera, nella quale McNamara concorda col direttore del ristorante di tornare l’indomani a saldare il conto, segna l’inizio di una grande storia.

Un anno dopo, nel febbraio 1950, ritorna a cenare in quello stesso ristorante insieme al suo nuovo socio, Ralph Schneider. Quando arriva il conto, McNamara tira fuori un piccolo pezzo di carta: è la sua Diners Club. Un’unica carta che consente a chi la detiene di poter effettuare acquisti in ristoranti diversi. Sulla stessa scia arriverà poco più tardi American Express, la prima carta di credito (l'evoluzione dei “Travelers Cheque”) per acquistare viaggi e intrattenimento.

Storia di Visa, la “mamma” di tutte le carte di credito

Ma il punto di svolta nella storia delle carte di credito avviene in California, e più precisamente in quella che oggi chiamiamo la Silicon Valley: è qui, nella città di Fresno, che nel 1958 la Bank of America (fondata da un italiano, ma questa è un’altro racconto) lancia la “BankAmericard”, la prima carta di credito “generalista”, valida per tutti gli usi e recapitata dalla banca a decine di migliaia di residenti della città californiana. In pochissimo tempo tutti iniziano ad utilizzare la carta per i propri acquisti (il plafond iniziale è di 300 dollari). Da lì in poi, grazie anche ad una fortunata operazione di marketing postale, la BankAmericard raggiunge mano a mano centinaia di migliaia e poi milioni di cittadini americani.

Dietro quella che possiamo davvero considerare la prima carta di credito moderna c’è un nome: Joseph P. Williams, leader del dipartimento Ricerca e Sviluppo di Bank of America, il “Customer Services Research Group”. Possiamo considerarlo a tutti gli effetti uno startupper, perché da quella intuizione e da quel team sarebbe passato un cambiamento epocale nella storia.

Non mancano, però, i problemi. Ben presto, oltre il 22% dei debitori era divenuto insolvente, una percentuale parecchio superiore al 4% previsto dal team di Williams, e non mancano anche le prime frodi con carta di credito. Conti alla mano, il lancio di BankAmercard è costato alla Bank of America oltre 8,8 milioni di dollari dell’epoca; con pubblicità e spese generali quella cifra è salita a circa 20 milioni di dollari. Ma come nelle migliori startup, da grandi rischi derivano anche grandi opportunità. Così, dopo importanti investimenti per migliorare la reputazione della carta, intorno alla fine degli anni Sessanta la Bank of America decide di espandere il progetto all’infuori del territorio statunitense, concedendo in licenza il proprio programma BankAmericard anche ad altre banche. Un servizio che oggi definiremmo in “white label”, con banche locali che emettono la stessa carta americana con nomi diversi. Per esempio, in Canada una cordata di banche crea Chargex, in Francia nasce Carte Bleue, nel Regno Unito spopola Barclaycard. Nomi diversi, prodotto identico.

Tutto sembra andare per il meglio fino al 1968, quando entra in scena Dee Hock, manager della National Bank of Commerce: a lui il mandato di supervisionare il lancio di BankAmericard nel Pacifico nord-occidentale. Hock si rende subito conto di una grande vulnerabilità dietro l’espansione della carta, ovvero: come gestire le "commissioni interbancarie"? Fino a quando era stata la sola Bank of America ad offrire la carta di credito tutto ok, ma concedere licenze al di fuori della sua rete (e giurisdizione) porta con sé non pochi problemi a livello di commissioni (e, aggiungeremmo oggi, di compliance).

Anche qui, grande problema grande opportunità: Hock convince i piani alti di Bank of America che BankAmericard può avere un grande futuro, ma se va al di fuori della banca. Il progetto della carta di credito deve andare avanti, sì, ma come spin-off a sé stante. Così Hock lavora giorno e notte per mettere d’accordo le diverse banche che già la utilizzavano a consorziarsi. Quel nuovo network getterà le basi di quello che oggi conosciamo come uno dei più importanti circuiti di pagamento internazionali al mondo: Visa.

Come funziona una carta di credito (evoluzioni tecnologiche, e non solo)

La carta di credito, sempre più simile anche esteticamente a come oggi la conosciamo, diventa anno dopo anno un oggetto di culto. Alcune caratteristiche, come ad esempio i caratteri marcati in rilievo, ideati per consentire la “copia carbone” della carta al momento del pagamento, sono l’emblema iconico di un nuovo status symbol: tutti vogliono una carta di credito col proprio nome inciso sopra. Ma non si può correre meno veloci dell’elettronica: gran parte del merito nella definizione di uno “standard tecnologico” nel mercato delle carte di credito va ad un ingegnere di IBM, Forrest Parry: sua l’idea della banda magnetica sul retro delle carte, contenente le informazioni di ciascun titolare della carta in modo che, “strisciandole”, possano essere lette da un terminale.

Con l’avanzare della rivoluzione informatica anche i pagamenti diventano sempre più elettronici e diventa quindi un nodo centrale proteggerli dai furbetti. Una tecnologia più sicura rispetto alla banda magnetica, arriva dalla Francia nel 1984: un microchip apposto su ogni carta, abbinato al suo codice PIN. L’idea del chip piace un po’ ovunque e si espande in molti altri Paesi. I lettori, però, non sono intercambiabili: ciascuno utilizza una tecnologia proprietaria.

Nei primi anni Novanta, i tre principali player occidentali delle carte di credito, Visa, MasterCard ed Europay (che poi a sua volta confluirà in MasterCard), decidono di unire le forze e sviluppare un unico chip globale per i propri circuiti: nel 1996 rilasciano le prime specifiche dei sistemi EMV (l’acronimo consiste nelle iniziali delle tre società madri), che diventerà lo standard tecnico per carte di credito e di debito, per i POS e per gli sportelli automatici. Lo standard oggi è gestito da EMVCo, un consorzio comprendente anche American Express, JCB, China UnionPay e Discover. Lo stesso standard è utilizzato anche per le carte di debito.

Che fine farà la carta di credito?

Nel 2025 la carta di credito spegnerà le sue “prime” 75 candeline. Dai “prototipi” in cartoncino fino a quelle con chip e, oggi, contactless, la funzione principale di una carta di credito è rimasta sempre la stessa: è uno strumento finanziario per acquistare subito e pagare dopo (“Buy Now, Pay Later”? Passano gli anni, ma la sostanza non cambia).

Siamo oramai abituati ad avere tra le mani moltissimi tipi diversi di carte di credito, fatte di plastica, metallo, virtuali, e anche “tokenizzate” sui nostri smartphone. Ed anche le loro specificità finanziarie sono diverse: a saldo, revolving, associate a programmi fedeltà, oppure abbinate a wallet di criptovalute.

Nell'ultimo decennio, e con un’impennata vertiginosa dal 2020 in poi, ovvero a causa della pandemia, i consumatori si sono spostati in massa verso i negozi online rispetto a quelli tradizionali, il che ha aumentato anche l'uso dei pagamenti digitali. Con l’avvento del fintech, ovvero quella grande fetta di mercato nata dall’incontro tra finanza e tecnologia, sono molte le startup e le società finanziarie che provano a ridisegnare il futuro delle carte di credito, nell’ottica di una sempre più attenzione alla user experience ed alla semplicità d’uso per conquistare nuove fette di mercato, come i consumatori più giovani.

Le carte di credito tradizionali probabilmente resisteranno ancora per molto tempo, seppur in forme diverse da come le vediamo ora. È facile immaginare che, da qui ai prossimi vent’anni, non saremo più abituati a portarcele dietro, preferendo tenere le loro gemelle virtuali sui nostri dispositivi. Già oggi nei nostri wallet digitali abbiamo una copia delle chiavi dell’automobile, ad esempio, ed in alcuni Paesi anche i documenti d’identità.

Molto è cambiato, rispetto al nostro rapporto con gli strumenti finanziari, come il passaggio quasi totale a modelli di assistenza basati sulle live chat. Ma le carte di credito offrivano ed offrono ancora assistenza telefonica basata su IVR (Interactive Voice Response, in italiano “voce guida”), ma spesso bloccare la carta di credito (in caso di furto o frode) e ottenere risposte a transazioni importanti è un processo farraginoso. Con le fintech siamo abituati a fare quasi tutto ed in qualsiasi momento attraverso le chat su siti e nelle app, grazie alle quali possiamo creare anche dei promemoria di pagamento e tracciare con più facilità le nostre transazioni.

A beneficiare della tecnologia, negli ultimi dieci anni è stata soprattutto la sicurezza: pensiamo a quanto è più sicuro utilizzare la biometria, e quindi autorizzare una transazione con il riconoscimento facciale o con l’impronta digitale, rispetto al tradizionale PIN, per esempio. Cosa che già oggi facciamo sia acquistando in negozio che online. E poi c’è il grande tema dell’Intelligenza Artificiale, un perimetro in rapida evoluzione sia sul fronte dell’onboarding e dell’assistenza clienti, sia - soprattutto - per un uso sempre più virtuoso dei dati, che costituiscono un importante valore economico per le aziende che li raccolgono e gestiscono, e su cui anche i consumatori iniziano ad avere sempre più consapevolezza.

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